Nonostante la ricchezza naturale, l’Amazzonia è la zona più povera in relazione alle altre regioni del Paese, a causa delle conseguenze del modello di sviluppo estrattivo e della difficile integrazione dei popoli indigeni nelle logiche di mercato

Piantare alberi non è solo un modo per prendersi cura dell’Amazzonia, ma anche un modo per rafforzare le comunità indigene e responsabilizzare le persone che lottano per salvaguardare la biodiversità.

Le comunità indigene non sono semplici abitanti: sono i veri custodi della foresta. La loro vita è intrecciata con quella dell’ambiente che le circonda. La foresta è casa, medicina, cultura, alimento, spiritualità.

Tra queste comunità, i Kichwa dell’Amazzonia — che rappresentano circa il 60% della popolazione indigena della regione — incarnano una relazione profonda e sacra con la natura, che riconosce la foresta non come una risorsa da sfruttare, ma come un essere vivente da rispettare e proteggere.

Secondo la visione del mondo kichwa, la selva non è separata dall’essere umano: ogni albero, ogni animale, ogni fiume ha un’anima, un’energia vitale, un ruolo nell’equilibrio cosmico. L’uomo non domina la natura, ma vi partecipa in modo armonico, attraverso pratiche agricole tradizionali, rituali, linguaggi simbolici e un senso profondo di appartenenza.

Questa visione si traduce in una gestione sostenibile e rispettosa delle risorse. La riforestazione, per Respiro Verde, è sempre un atto condiviso: avviene in accordo e collaborazione diretta con le comunità locali, che guidano la scelta delle specie, dei metodi e dei luoghi in cui intervenire.

Piantare un albero, in questo contesto, significa anche rafforzare un dialogo tra saperi, tra chi porta tecniche e strumenti, e chi custodisce una saggezza millenaria.
Significa difendere la foresta sostenendo chi la ama da sempre e vede in essa non solo un bene da proteggere, ma una madre da onorare.da cui dipendono per la loro sussistenza.